Cari amici viaggiatori,

rieccomi su questo blog. Lo so, ho saltato un po’ di appuntamenti, soprattutto con la rubrica Turismo e Turismi, ma scriverò presto qualcosa di nuovo.

La settimana scorsa è stata molto impegnativa, terminava un bel periodo lavorativo trascorso a Matera, e, come sempre, quando qualcosa finisce bisogna concentrarsi un attimo e rimettersi in gioco, e così ho fatto in questi giorni.

Non sono mai stata una che si perde d’animo, anzi. Così, invece di rimuginare sul fatto che effettivamente da venerdì scorso sono disoccupata, sono salita su un bus e mi sono recata in una delle città che più amo in assoluto: Napoli.

Questa volta ero più emozionata del solito. La giornata prevedeva un giro nel Rione Sanità, l’anima verace della città partenopea.

Sì, molti lo conoscono per via di fatti di cronaca che sono avvenuti negli anni in questo quartiere, ma a me questo onestamente non interessava.

Se vivessimo di pregiudizi rimarremmo chiusi in casa a chiederci come sarebbe stato se solo ci fossimo buttati.

Bene, la visita al Rione Sanità è stata magica, un’esperienza VERA, non costruita con abili strategie di marketing come avviene molto spesso nell’era del turismo 2.0.

Il Rione Sanità fu edificato alla fine del XVI secolo in una valle usata come luogo di sepoltura sin dall’epoca greco-romana. Ancora oggi sono visibili tracce importanti di ipogei ellenistici e catacombe paleocristiane. Io ho avuto la fortuna di entrare nel ventre di Napoli e visitare le catacombe di San Gennaro, chiamate così proprio perché pare abbiano ospitato le spoglie del Santo patrono di Napoli, prima che queste venissero traslate nel Duomo, dove sono tutt’oggi.

 

Ciò che rende grande questo luogo non è solo la sua importanza storico-artistica, ma ciò che c’è dietro. Dietro ci sono un gruppo di ragazzi che hanno realizzato un sogno, un sogno che sembrava impervio, quasi impossibile da realizzare.

La bellezza però può tutto. Può dare la forza di andare avanti e può infondere speranza anche dove sembra non ve ne sia. Così è nata la Cooperativa la Paranza, è nata dal sogno di ridare vita al quartiere partendo da ciò che di più bello ha, il suo patrimonio artistico e culturale. La cooperativa ha preso in mano le catacombe e le ha rese fruibili. Oggi accolgono tantissimi visitatori, circa 13000 lo scorso anno.

Si lasciano ispirare da questa frase di Sant’Agostino:

«La Speranza ha due bellissime figlie: lo Sdegno e il Coraggio di cambiare le cose così come sono»

Io volevo semplicemente ringraziarli perchè hanno reso possibile tutto questo, grazie perchè dimostrate che in Italia la gente volenterosa e brava c’è, bisogna solo saperla incoraggiare, grazie perchè credete ancora nel nostro patrimonio culturale, troppo bistrattato e dimenticato, soprattutto dalla politica.

Ci avete chiesto di farvi pubblicità e io ho deciso di dedicarvi parte di questo articolo.

Il tour a Sanità è continuato tra le viuzze colorate del rione – super instagrammabili – per concludersi con la visita alla Basilica di Santa Maria della Sanità che onestamente descriverei con un “Mamma mia!”: scenografica, mozzafiato, capace di racchiudere una serie di stili e dettagli che in altri luoghi cozzerebbero uno con l’altro.

Dodici piccole cupole la sovrastano e la sua particolare pianta a croce greca la rendono una delle chiese più assurde che io abbia mai visitato.

Particolare menzione per la Maddalena in estasi di Luca Giordano, pittore napoletano di fine ‘600 che io amo particolarmente.

 

A pranzo, e questa volta non me la sono fatta scappare, PIZZA! Sì, lo scrivo in maiuscolo perché a Napoli la pizza è un simbolo, e non sto parlando per stereotipi.

Ho assaggiato la pizza della Pizzeria Oliva, sempre al Sanità: buonissima. Fateci un salto se passate per quelle parti.

 

Nel pomeriggio sono tornata nel centro storico di Napoli, patrimonio mondiale dell’umanità. Non c’è niente di paragonabile a quelle stradine, niente paragonabile ai suoni e ai sapori che solo Napoli regala.

Ho visitato il Duomo e il famoso Tesoro di San Gennaro e lì ho lasciato parte del mio cuore: credo sia l’emblema di quello sfarzo seicentesco napoletano che ha reso la città celebre in tutto il mondo.

E poi Napoli è San Gennaro, e viceversa: essere in quel Duomo significa sentirsi parte di un legame che attraversa i secoli e che va oltre la fede. Si parla di una sorta di appartenenza di sangue, un patto tra un popolo e il suo protettore. Qui avviene il miracolo del sangue di San Gennaro che diventa liquido, e, come dicono i napoletani, potete crederci o no , ma se il sangue diventa liquido è meglio, altrimenti sono guai.

 

Insomma, torno da Napoli con le batterie ricaricate e con la convinzione che questa città può permettersi anche di andare aldilà delle dicerie sul suo conto.

Perchè se è vero che “Vedi Napoli e poi muori” è il detto che va per la maggiore, è anche vero che io dopo poche ore a Napoli, vivrò con la consapevolezza che il bello salva tutti, che la città partenopea è un orgoglio nazionale e che Napoli si può solo amare, o odiare, l’importante è non essere indecisi, non c’è tempo per l’indecisione.

Vedi Napoli e poi vivi…felice!

La Rondine

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Colonna sonora di questo viaggio: Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, di Luciano Ligabue.

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